INCROCI N. 100

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Piove. Strada allagata e grigio generale tra cielo e asfalto. Non sono grigi i vestiti della donna che al semaforo chiede soldi alle macchine ferme. Piccola, sporca, pochi denti. I pantaloni fantasia rossi e blu, la camicia verde e viola, larga; i sandali di gomma sguazzano con lei nel fresco delle pozzanghere. Poco lontano, sul muro grigio decorato da graffiti, un giubbotto di piuma imbottito, fuori stagione, ma curato e pulito. La donna, ad ogni verde del semaforo, si avvicina e lo accarezza, per tornare poi alla coda, col suo bicchierino di plastica a picchiare sui vetri chiusi delle automobili, voce squillante che non arriva a chi guida.

“Mio marito ieri ha trovato questo. È un giubbotto bellissimo. Non ho mai posseduto un capo così. Un tempo, talmente tanto tempo fa, stavo bene. Vivevo a Plitvice, in una casa mobile azzurra, vicino al lago, con tutta la famiglia. Zingari nobili, diceva mia mamma. Finché siamo riusciti a vivere laggiù ce l’abbiamo fatta, vivevamo del nostro, pochi piccoli lavori a compensare l’affitto del terreno dove vivevamo. I bambini andavano a scuola, i vecchi chiacchieravano, noi ragazze sognavamo. Aprivamo i bauli che ci avevano lasciato in dote le nostre nonne e cominciavamo a disegnare, a cucire, a mettere insieme quei vestiti che ci facevano sentire belle. Avevo denti bianchissimi, che brillavano sulla pelle del viso, dal colore delle albicocche mature, con piccole lentiggini a punteggiare i lati delle labbra. Sorridevo sempre. Mi sentivo bellissima e invincibile. Soprattutto quando mi fissava Zorad, con quei lampi che volevano tutto, e non sapevo neppure cosa fosse, il tutto.

Oggi siamo qui, e ci definiscono zingari, ladri e tanto altro ancora che non voglio capire.

Zorad è invecchiato, lo sguardo morto ma la voglia di vivere no. Si arrangia e io non chiedo. Mi dice che devo stare qui tutto il giorno e io ci sto. Qualche soldo, parole e gesti che non sento e non vedo, e la sera gli consegno il guadagno. Non deve essere poco, altrimenti di che si vive, ma neppure troppo, perché Zorad non vuole che diventi troppo brava.

Penso alla giornata, oggi piove e non fa caldo. E allora sogno di poter indossare quel magnifico piumino. L’ho portato qui, per vederlo e toccarlo in ogni momento. È mio. È caldo.

Sarà un inverno magnifico.

Grazie Zorad.”

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